Epistola
spirituale a Santa Teresa d'Avila
di
Roberto Taioli
Cara Madre Teresa,
nel
tempo diacronico inesorabile che ci distanzia e ci fa lontani, il
tempo sincronico rende possibile la presenza e chiama all�appello
tutte le voci che ci hanno parlato, perch� nulla va disperso nel
tempo di Dio e tutto ritorna nel tempo sempre eterno. Questo tempo
non conosce dispersione, perch� la memoria di Dio non si consuma.
Attua l�eterno nella mondanit� del tempo ma trascende il tempo
particolare. Perci� ancora parliamo e ci incontriamo, come in una
meraviglia senza fine. Colligite
fragmenta, � l�esortazione del Cristo, perch� nulla vada
disperso e anche le briciole ascendano, come le preghiere pi� umili
e mute, insieme a quelle grandi e glorificanti.
Oh
quanto devo camminare per ritrovarti! Mi muovo con tutto il peso del
mio corpo, con l�inerzia della carne e il mio passo si fa
faticoso. Cerco nell�incedere
di farmi leggero, di liberarmi dal cargo del mondano che mi grava e
dell�intelletto che mi frena; so che non potr� entrare nel Castello
Interiore se non purificandomi, detergendomi
dalla oscurit� che mi avvolge. Tu cos� parlasti nel
tuo tempo alle tue Sorelle sospingendole ad incontrare la vera
preghiera che non fosse solo soddisfazione di un io interiore, ma
distacco, distanza da s�,
oblio. Cos� mutatis mutandis ancora
parli a noi. Si
incomincia da se stessi, ma lungo il cammino dobbiamo perderci a noi
stessi per ritrovare la vera dimora. Qual � il centro del Castello?
Quali tortuosit�
dobbiamo incontrare per arrivarvi?
A che punto siamo del labirinto, in quale mansione?
Non � un cammino facile, ma una prova, una askesis,
un esercizio. Entriamo senza mappa dell�interno, senza cognizione
dell�intrico La
preghiera � la porta d�accesso a quella dimora abscondita
verso la quale aneliamo, come la cerva al corso d�acqua. Siamo
viandanti assetati, come
lo fosti tu, andariega dello spirito. Un cammino di perfezione ci sembra alto e
inaccessibile come la vetta d�una montagna. Siamo sotto una
incombenza, una angoscia
ci assale. Potremo mai con le nostre fragili forze tendere cos�
all�alto? L�inerzia della carne ci spinge a fermarci, ci pungola
a desistere. E quel Castello poi pare pieno di insidie. Il centro,
la stanza nuziale � cos� distante da noi e ignoto il cammino per
arrivarvi.
Preghiamo
allora per trovare la via, ci abbandoniamo alla guida che non ci
inganna e non ci abbandona. Se non preghiamo non entriamo, se non ci
lasciamo rapire, strappare via da quel lavacro, rimaniamo attoniti
sulla soglia. Ma quale preghiera, quale orazione potr� essere
viatico per quel cammino? A quale acqua abbandonarci perch� la sete
non ritorni pi� urgente di prima? Sostiamo come la samaritana al
pozzo di Giacobbe. Sento, avverto
che tu ci suggerisci di
cercare l�orazione unitiva
che ci saldi, al di l� della frammentaria cortina dell�esistere e
degli schermi dell�intelletto,
a quella certezza che non chiede prova di s� e non si d�
per evidenza. Si tratta, mi pare di capire, di un accompagnamento,
di una presenza che ci introduce ad un oltre, in quella cella
vinaria ove entra
la Sposa
evocata nel Cantico dei
Cantici, e che da sola non troverebbe, come noi non
troveremmo la preghiera, se non fossimo affiancati da una forza pi�
grande. La nostra cecit� non impedisce il cammino se ci
abbandoniamo, ci lasciamo prendere, sospingere, senza porre
resistenza all�azione divina che ci raggiunge e ci oltrepassa.
Camminiamo perch� non vediamo, se vedessimo ci arresteremmo,
sedotti e irretiti dal mondano. Il fluire dell�acqua si
spegnerebbe su di un
ostacolo che la frena.
La Presenza
� allora un dinamismo interiore che senza violenza, con pacatezza e
sapienza, rende
possibile il nostro attuarsi, come il baco che morendo a se stesso,
si trasforma in farfalla. Cosi la nostra preghiera, purgatasi dalle
incrostazioni del mondano, potr� sperare di accedere al gusto di
Dio.
In
unum communicantes.
Roberto
Taioli
Ringraziamo
il prof. Roberto Taioli per questa condivisione :)
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